Montesacro, via Nomentana: un sottile filo rosso lega luoghi e simboli di eventi passati

(Riflessioni di Roberto Mendoza - Servizio fotografico di Roberto Di Donato)

Perché il Monte era chiamato Sacro

La tradizione vuole che sul Monte Sacro si recassero gli àuguri per eseguire i loro vaticini interpretando il volo degli uccelli: di qui il riferimento alla sacralità del monte.

Del resto, proprio il volo degli uccelli, sempre secondo la tradizione, era stato alla base della leggendaria disputa tra Romolo e Remo sulla ubicazione della città da fondare.

Si narra poi che su detto monte sorgesse il tempio di Giove Terrifico: alcuni ipotizzano che i sottostanti resti (che si trovano all’interno del parco Bolivar) possano in qualche modo essere collegati a tale tempio (foto 1)

Foto 1 - Resti del tempio di Giove Terrifico?

L’importanza del Monte Sacro si ricava dunque dalla storia romana, o meglio dalle testimonianze storiche, tutte di epoca successiva le quali fanno riferimento a narrazioni tramandate per secoli, spesso discordanti tra loro.

La secessione della plebe nel 493 a.C. e l’apologo di Menenio Agrippa

E’ il caso del famoso apologo di Menenio Agrippa rivolto alla plebe il cui testo è riportato dallo storico Tito Livio (nato nel 59 a.C. e morto il 17 d.C.) il quale afferma esplicitamente di aderire alla tradizione che andava per la maggiore, quella secondo cui la plebe, in rivolta contro il patriziato, si sarebbe riunita nel Monte Sacro. nell’anno 494 a.C.

Tuttavia, lo stesso Livio non può fare a meno di aggiungere che, secondo lo storico Pisone, la secessione della plebe sarebbe invece avvenuta sull’Aventino.

Questa discordanza emerge dal seguente passo (1)

Si narra che all’inizio si fosse parlato di assassinare i consoli, al cui cospetto avevano giurato fedeltà come soldati, per svincolarsi da tale vincolo sacro; quando però fu spiegato loro che non c’era delitto che potesse liberare da un vincolo sacro, allora le truppe, su proposta di un certo Sicinio, si ammutinarono all’autorità dei consoli e si ritirarono sul Monte Sacro, oltre il fiume Aniene, a tre miglia da Roma. Questa è la versione più accreditata rispetto alla quale lo storico Pisone contrappone quella secondo cui la secessione sarebbe avvenuta sull’Aventino.

Le cause reali della secessione della plebe risiedevano nell’eccessivo indebitamento delle classi più povere e nella connessa legislazione sui debiti che le penalizzava in modo insopportabile e inumano; inoltre traevano alimento dalle angherie e dai soprusi perpetrati ai loro danni dai magistrati eletti dalla classe dominante.

La situazione era divenuta molto difficile anche perché nel corso della guerra combattuta contro i Volsci, gli Equi e i Sabini i consoli - provenienti dalla classe patrizia - avevano promesso di migliorare la triste situazione debitoria in cui versavano i plebei, per poi rimangiarsi tutto una volta avere che il nemico era stato respinto: così le promesse rimasero sulla carta e i plebei, sentendosi beffati, si sollevarono abbandonando la città.

Poiché a seguito del loro arruolamento come soldati i plebei avevano prestato giuramento di fedeltà ai consoli, in conseguenza del voltafaccia di questi ultimi alcuni plebei ritennero che, assassinando i consoli, si sarebbero liberati dal vincolo del giuramento. Tuttavia, fortunatamente prevalse la tesi secondo cui il valore del giuramento era fondato su principi superiori alla stessa vita (nel caso di specie dei consoli) e fu scelta un’altra via, quella della secessione.

Essa gettò nel panico i patrizi, visto che i soldati plebei si erano accampati fuori Roma e la città era rimasta priva di una forza armata e - quel che è più grave - in balia dei nemici che avrebbero potuto approfittarne senza colpo ferire.

Inoltre, la plebe rimasta a Roma poteva costituire un pericolo per l’ordine pubblico.

I senatori temevano dunque che i plebei volessero costituirsi in stato indipendente con conseguenze irreparabili nel caso in cui forze nemiche avessero attaccato la città; d’altro canto - prosegue Livio - la plebe temeva un’azione di forza del senato contro di loro.

La concordia nazionale venne allora considerata come l’unico obiettivo da perseguire e i patrizi decisero dunque di inviare alla plebe un uomo dotato di grande dialettica e convincente - sia per l’equilibrio delle proposte sia per le sue origini popolari - chiamato Menenio Agrippa.

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(1)Et primo agitatum dicitur de consulum caede, ut solventur sacramento; doctos deinde nullam scelere religionem exsolvi, Sicinio quodam auctore iniussu consulum in sacrum Montem secessisse.Trans Anienem amnem est, tria ab urbe milia passuum. Ea frequentior fama est quam cuius Piso auctor est, in Aventinum secessionem factam esse” (TITO LIVIO, Ab urbe condita, libro II,32).

Menenio Agrippa, una volta introdotto nel campo allestito dai plebei, avrebbe raccontato il seguente apologo parlando con espressioni terra terra comprensibili da tutti (2)

Quando le membra del corpo umano non costituivano ancora un tutto armonico perché ciascuna si esprimeva e pensava in modo autonomo, tutte le altre erano infuriate e sdegnate di dovere sempre faticare per sostenere lo stomaco che, contrariamente a loro, se ne stava in silenzio godendosi tutti i benefici che gli venivano somministrati.

Pertanto, le altre parti del corpo strinsero questo accordo: le mani si sarebbero ben guardate da portare cibo alla bocca, la bocca non si sarebbe più aperta per riceverlo, i denti non avrebbero più masticato.

Supponendo erroneamente che lo stomaco sarebbe morto di fame, le altre parti si dovettero accorgere che tutte le membra e il corpo stesso erano gravemente deperiti (membra totumque corpus ad extremam tabem venisse).

Fu allora che compresero che anche lo stomaco svolgeva una funzione importante in quanto, anziché restare inoperoso, distribuiva il nutrimento che aveva ricevuto ripartendo equamente, tramite le vene e corroborato dal nutrimento digerito, il sangue che ci dà la vita e la forza”.

Menenio Agrippa, sempre secondo la tradizione, avrebbe convinto i plebei a desistere dal loro atteggiamento di netta contrapposizione ai patrizi in cambio di garanzie certe e durature. Conseguentemente, furono iniziate trattative all’esito delle quali sarebbe stato riconosciuto ai plebei il diritto di eleggere propri rappresentanti nelle persone dei tribuni della plebe (tribuni plebis) con il compito di tutelarli dalle decisioni e dai comportamenti arbitrari posti in essere dai magistrati patrizi.

Afferma al riguardo Livio che

“Furono eletti due tribuni della plebe, Caio Licinio e Lucio Albino. A loro volta costoro scelsero tre colleghi, uno dei quali era Sicinio, promotore della secessione. Sui nomi degli altri due vi sono molte incertezze: alcuni storici sostengono che sul monte Sacro furono eletti solo due tribuni e che in tale luogo fu proposta la legge sulla loro inviolabilità” (3): in conseguenza di ciò ai tribuni venne riconosciuta l’immunità personale per porli al riparo da attentati o ferimenti.

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(2) “tempore quo in homine non ut nunc omnia in unum consentiant, sed singulis membris suum cuique consilium, suus sermo fuerit, indignatas reliquas partes sua cura, suo labore ac ministerio ventri omnia quaeri, ventrem in medio quietum nihil aliud quam datis voluptatibus frui; conspirasse inde ne manus ad os cibum ferrent, nec os acciperet datum, nec dentes quae acciperent conficerent. Hac ira, dum ventrem fame domare vellent, ipsa una membra tutumque corpus ad extremam tabem venisse. Inde apparvisse ventris quoque haud segne ministerium esse, nec magis ali quam alere eum, reddentes in omnes corporis partes hunc quo vivimus vigemusque, divisum pariter in venas maturum confecto cibo sanguinem” (TITO LIVIO, ibidem, libro II,32).

(3) “Ita tribuni plebei creati duo, C. Licinius et L. Albinus. Ii tres collegas sibi creaverunt. In his Sicinium fuisse, seditionis auctorem: de duobus, qui fuerint minus convenit. Sunt qui duos tantum in Sacro monte creatos tribunos esse dicunt, ibique sacratam legem latam” (TITO LIVIO, ibidem, II, 33, 2-3.

Di Caio Sicinio Belluto parlano anche Plutarco e Dionigi di Alicarnasso le cui versioni dei fatti sono tra loro discordanti come ricorda lo stesso Livio.

A Caio Sicinio Belluto tribuno della plebe è dedicato il parco di Monte Sacro come si evince dalla sottostante targa (foto 2)

Foto 2 - Parco Caio Sicino Belluto a Montesacro.

Come si vedrà nel prosieguo, l’istituzione dei tribuni non sarà accettata di buon grado dalla classe patrizia e sarà posta in discussione anche la loro immunità personale per cui si renderà necessaria una nuova lotta per la riaffermazione dei diritti della plebe.

La secessione della plebe nel 449 a.C. inizia sull’Aventino …… e prosegue lungo la via Nomentana fino a Monte Sacro. L’importanza della seconda secessione

Il simbolo del Monte Sacro come luogo in cui la plebe si riuniva per respingere gli atti e le provocazioni posti in essere ai suoi danni dai patrizi non si esaurisce solo con la secessione del 494 a.C. perché lo stesso Tito Livio ne cita un’altra avvenuta nel 449 a.C. allorquando i decemviri, specialmente Appio Claudio, si comportarono da veri e propri tiranni perché, nonostante fosse scaduto il loro mandato, non vollero restituire il potere al popolo e anzi fecero ricorso a violenze, omicidi e confische di beni e terreni contro i plebei e soprattutto non riconobbero l’autorità (e l’inviolabilità) dei tribuni.

La tradizione cui si riferisce Tito Livio vuole che la plebe - inorridita per l’omicidio del plebeo Lucio Siccio, avversario inflessibile dei decemviri e per la morte della giovinetta Virginia, concupita da Appio Claudio e uccisa dal padre dei lei pur di non farla cadere nelle mani del decemviro - si trasferisse in massa sull’Aventino spostandosi subito dopo verso il Monte Sacro (in Sacrum Montem ex Aventino transit).

Lo spostamento sul Monte Sacro avvenne perché l’ex tribuno Marco Duilio aveva avvertito i plebei che i patrizi avrebbero cominciato ad avere paura solo quando la città fosse stata abbandonata e che il Monte Sacro avrebbe loro ricordato a chiare lettere quanto fosse incrollabile la volontà della plebe la quale non avrebbe rinunciato ai tribuni e alla loro autorità al pari di quanto era avvenuto decenni prima nel medesimo luogo (admoniturum Sacrum Montem constantiae plebis scituros qua sine restituta potestate).

Riferisce dunque Livio che i plebei “partiti lungo la via Nomentana, che allora si chiamava Ficulense, si accamparono sul Monte Sacro (Via Nomentana, cui tum Ficolensi nomen fuit, profecti castra in Monte Sacro locavere) e, imitando la moderazione dei loro antenati, si accamparono nel monte Sacro astenendosi dal compiere devastazioni.

I plebei non arruolati seguirono l’esercito e nessuno tra quelli cui l’età lo consentiva, si rifiutò di andare (Secuta exercitum plebs, nullo qui per aetatem ire posset retractante).

Livio precisa poi che i plebei “furono accompagnati fino alle porte della città anche dai figli e dalle mogli che, lamentandosi, si chiedevano in quali mani fosse affidata una città nella quale ormai neppure la libertà e la pudicizia erano più sacre” (4).

La città era deserta e nel foro non c’era anima viva tanto che molti senatori si convinsero che i tribuni della plebe dovevano per forza essere accettati come rappresentanti della plebe, tanto più quando, una volta istituito ed assaporato il tribunato per le classi più povere, diveniva oramai impossibile rimetterlo in discussione, tanto più se i patrizi continuavano a vessare i plebei.

Tale dibattito ebbe comunque effetti rilevanti, la caduta dei decemviri, l’arresto di Appio Claudio seguito dal suo suicidio in carcere, la nomina di due pretori e di due tribuni della plebe.

I tribuni della plebe vennero dunque definitivamente riconosciuti come legittimi rappresentanti della plebe diventando definitivamente figure rappresentative elette dal popolo nelle assemblee della plebe (concilia plebis) e destinate ad affiancare i consoli (detentori del potere esecutivo) in quanto portatrici delle istanze della plebe e quali proponenti di provvedimenti diretti a garantire la giustizia sociale.

Conseguentemente, al fine di svolgere con efficacia le loro funzioni, la plebe ottenne che ai tribuni fosse riconosciuto il potere di porre il veto sugli atti di governo lesivi degli interessi delle classi più povere e che le loro persone fossero considerate inviolabili.

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(4) Prosequuntur coniuges liberique, cuinam se relinquerent in ea urbe in qua nec pudicitia nec libertas sancta esset miserabiliter rogitantes (TITO LIVIO, ab urbe condita, libro III, 52).

La via Ficulense che in seguito si chiamerà via Nomentana

La via Ficulense, percorsa dai plebei per giungere al monte Sacro, derivava dall’antica città di Ficulea, sita a nord di Roma e a sud di Nomentum (l’odierna Mentana): la sua citazione come città antica preromana si ricava da Dionigi di Alicarnasso secondo cui Ficulea sarebbe stata fondata dagli Aborigeni presso i monti Corniculari (5).

Livio parla invece della sua occupazione da parte di Tarquinio Prisco al pari delle città dell’antico Lazio (6).

Conclusa la guerra con i Sabini Tarquinio torna a Roma in trionfo.

In seguito mosse guerra agli antichi Latini senza però giungere ad uno scontro campale conclusivo, ma circondando le singole città sottomise tutte le popolazioni latine e in particolare: Cornicola, Ficulea vecchia, Cameria, Crustumerium, Ameriola, Medullia, Nomentum, tutte città degli antichi Latini o di quanti si erano sottratti al loro dominio.

Ficulnea o Ficulea era dunque una città sita a 10 chilometri dalla porta Collina dalla quale partivano la via Salaria e per l’appunto la via Ficulense.

Quando Ficulea decadde la via fu prolungata fino a Nomentum (l’odierna Mentana) che si trovava qualche miglio oltre prendendo il nome di via Nomentana.

Essa è più volte citata da vari autori e storici romani, come Marziale e Plinio il Vecchio.

Cicerone parla di un incontro che avrebbe avuto il giorno dopo nel territorio di Ficulea (7).

Giulio Capitolino riferisce che all’epoca di Antonino Pio a Ficulea era stato fondato un collegio di giovinette che si chiamavano faustiniane in onore della defunta moglie dell’imperatore Faustina (8).

Ficulea con tutta probabilità fu distrutta a seguito della guerra gotico-bizantine del VI secolo d.C. Attualmente è menzionata da una omonima via che si apre sulla via Nomentana in zona s. Alessandro.

Tracce dell’antico basolato si rinvengono sull’odierna via Nomentana di fronte al civico 1210 poco dopo il GRA (foto 2) e sull’uscio della sede regionale dell’INAIL al civico 74 di via Nomentana a pochi passi da villa Torlonia (foto 3).

Della zona di s. Alessandro si parlerà nel paragrafo successivo.

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(5) DIONIGI DI ALICARNASSO, Antichità romane, I, XVI.

(6)Bello Sabino perfecto Tarquinius triumphans Romam redit. Inde Priscis Latinis bellum fecit; ubi nusquam ad universae rei dimicationem ventum est, ad singula oppida circumferendo arma, omne nomen Latinum domuit, Corniculum, Ficulea vetus, Cameria, Crustumerium, Ameriola, Medullia, Nomentum, haec de Priscis Latinis, aut qui ad Latinos defecerant, capta oppida” (TITO LIVIO, Ibidem, I, 38).

(7) CICERONE, Lettere ad Attico (XII, ep. XXXIV):

Cras igitur in Sicae suburbano: inde quemadmodum suades puto me in Ficulensi fore

“Domani mi recherò nel distretto suburbano di Sica: da lì, come mi consigli, passerò nel territorio ficulense”.

(8) G. CAPITOLINO (Anton. Philos., c. 29) scrive che

novas puellas Faustinianas instituit in honorem uxorsi mortuae

“fondò un collegio destinato a giovani ragazze che assunsero il nome di faustiniane in memoria della defunta moglie Faustina”

Foto 3 - Tracce di basolato della antica via Nomentana

Foto 4 - Tracce di basolato dell’antica via Nomentana sull’uscio di ingresso della sede regionale dell’INAIL

Foto 5 - Come sopra: particolare del basolato con capitello

Il complesso monumentale di s. Alessandro

Proprio con riferimento alla zona di s.Alessandro e precisamente presso il VII miglio (il miglio romano corrisponde a circa un chilometro e mezzo) della via Nomentana, a seguito di una campagna di scavi archeologici, vennero alla luce nel 1855 i resti di una basilica e di una catacomba e tale complesso monumentale venne dedicato ad Alessandro I papa che, secondo la tradizione risalente al V secolo e riportata nel Liber Pontificalis (tradizione molto contestata dagli storici), fu eletto pontefice durante l’impero di Traiano subendo il martirio per decapitazione il 3 maggio del 116 d.C.

All’interno del complesso fu rinvenuta un’iscrizione che ricorda il predetto pontefice insieme ai martiri Evenzio e Teodulo così come le tombe di costoro: è dunque per questa ragione che la zona adiacente ha il nome di s. Alessandro.

Quelle che seguono sono le immagini delle parti più rilevanti del complesso monumentale.

Foto 6 - Entrata al complesso catacombale

Foto 7 - Interno

Foto 8 - Altare

Foto 9 - Altra veduta dell’interno con archi

Foto 10 - l’altare visto da altra angolazione

Foto 11 - l’altare visto da una ulteriore diversa angolazione

Foto 12 - Corridoio della zona catacombale

Foto 13 - Muro delle catacombe con iscrizione e fregi floreali

Foto 14 - Altra veduta della zona catacombale

Foto 15 - Affresco murale con iscrizione

Foto 16 - Arco con capitello

Foto 17 - Veduta con abside

Foto 18 - Ulteriore veduta della zona catacombale

Foto 19 - Lastra marmorea con iscrizione

Una tragedia sfiorata nella canonica di s. Agnese

Anche le catacombe e la basilica furono devastate durante la guerra gotico-bizantina al pari di Ficulnea che si trovava in zona.

E’ importante notare che dopo al scoperta del complesso monumentale Pio IX in data 12 aprile 1855 si recò in visita agli scavi e quindi decise di rientrare a Roma ripercorrendo via Nomentana. Durante il viaggio di ritorno si fermò nell’antica chiesa di s. Agnese per mangiare e per ricevere i seminaristi.

Successivamente crollò il pavimento della canonica.

Dopo il pranzo” - sottolinea il principe Agostino Chigi (9) “il Papa è passato ad una camera contigua, ed ivi nell’atto che ammetteva al bacio del piede i seminaristi di Propaganda, uno dei travi che sosteneva il pavimento della camera si è rotto nel mezzo, e tutta la comitiva di più di cento persone, compreso il Papa è caduta in un sottoposto tinello, in mezzo alle macerie: fortunatamente la rovina del pavimento, non essendo stata precipitosa non vi sono state disgrazie estremamente fatali da compiangere”.

Dello stesso tenore è la lettera che G.G. Belli (10) scrisse alla nuora Cristina Ferretti, moglie del figlio Ciro, il giorno successivo al fatto e che si riporta integralmente

Di Roma, venerdì 13 aprile 1855

(ore 5 pomeridiane)

Mia cara Cristina,

[…]

“Ieri il Papa, con Cardinali. Prelati, forastieri di qualità etc. etc. pranzò nella Canonica di S. Agnese fuor dalle Mura. Dopo il pranzo in altra sala ammise al bacio nel piede il Collegio di Propaganda, o almeno porzione di esso. Ivi erasi trasferita tutta la nobile comitiva, ed alcuni dei collegiali anzidetti dovean recitare dei componimenti poetici. Mentre recitava il primo, il pavimento della sala si sprofondò, e il Papa e molti altri andaron giù in un tinello. Mons. Tizzani (che non si è fatto male e non è caduto) corse giù, come pratico del luogo, e rialzò il Papa da quegl’imbrogli.

Il Santo Padre ha qualche contu­sione nelle gambe: il Card. Marini due ferite in testa: il General francese è offeso in un orecchio non poco: il Segretario di Stato ha battuto il petto e non sa come, perché non isprofondò: il Card. Vi­cario restò non molto danneggiato, ma co’ panni tutti laceri e quasi ignudo.

Molti collegiali feriti, e alcuni gravemente.

Eccoti un lieve cenno in succinto, ma gl’incidenti son numerosi. Non è certo un bel fatto. Figurati la confusione del momento e il moto susseguente nella serata!

Quella riunione era accaduta in occasione di una visita sovrana a certi importanti scavi di antichità cristiane che fa eseguire il Col­legio di Propaganda in quei dintorni”.

Fu dunque sfiorata la catastrofe e furono celebrati tridui di ringraziamento.

Lo scampato pericolo venne rappresentato da un affresco del pittore Domenico Tojetti dal titolo “l’evento miracoloso occorso a Pio IX “, tuttora visibile in un ampio locale sito nel primo cortile della basilica di s. Agnese: tale affresco costituisce una vera e propria “fotografia” del pontefice e di quanti si trovavano con lui al momento del crollo delle travi e mostra l’intercessione di s. Agnese presso la Vergine in favore di costoro nonché l’intervento di san Giuseppe in soccorso del pontefice (foto 20).

In tale locale sono anche menzionati i nomi di quanti furono protagonisti di tale evento, mentre a parte è conservato un registro contenente le firme dei presenti in quel fatidico giorno.

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(9) Il tempo del Papa-Re - Diario del principe don Agostino Chigi dall’anno 1838 al 1855 - Prefazione di Fabrizio Sarazani, ed. Il Borghese, Milano 1966, pp. 357, 358.

(10) G.G. BELLI, Le lettere, a cura di Giacinto Spagnoletti, v. 2, pp. 353-354, Milano, Cino Del Duca, 1961.


Foto 20 - Domenico Tojetti - L’evento miracoloso avvenuto il 12 aprile 1855 - Complesso di s. Agnese

A tale locale si accede da una grande porta finestra sormontata da un arco sul quale campeggia la frase

PRIDIE IDUS APRILIS MDCCCLV

IL GIORNO PRECEDENTE LE IDI DI APRILE DEL 1855

Nel calendario romano le idi di aprile cadevano il giorno 13, per cui la menzione della vigilia delle idi di aprile del 1855 sta per l’appunto a ricordare l’evento (foto 21).


Foto 21 - Arco che sovrasta la grande porta-finestra da cui si accede al locale in cui precipitarono Pio IX e il suo seguito

L’importanza religiosa di via Nomentana secondo Pio IX e la sua gratitudine verso s. Agnese

Il ritrovamento del luogo del martirio di Papa Alessandro I al VII° miglio della via Nomentana e la gratitudine di Pio IX nei confronti di s. Agnese per lo scampato pericolo mentre si trovava nell’omonima chiesa sita in via Nomentana indussero tale pontefice ad assegnare a questa via un’importanza notevole sotto l’aspetto religioso.

Come si evince in modo evidente dall’iscrizione (foto 22) posta all’esterno di Porta Pia dopo i lavori di restauro ultimati nel 1869, Pio IX dedicò la porta ad Alessandro I Papa e a s. Agnese vergine facendo inoltre porre in due nicchie le statue dei due martiri (foto 23 e 24).

Foto 22 - Iscrizione sopra il timpano di Porta Pia nel lato esterno

L’iscrizione può essere così tradotta

AI SACRI MARTIRI ALESSANDRO PONTEFICE MASSIMO PREDECESSORE INDOMITO E AGNESE VERGINE SUA SALVATRICE DELLE CUI VESTIGIA VIA NOMENTANA

E’ ARRICCHITA PIO IX PONTEFICE MASSIMO NEL XXIII ANNO DI PONTIFICATO DEDICO’ PORTA PIA RAFFORZATA E ABBELLITA DA NUOVE OPERE

ESSENDO GIUSEPPE FERRARI GOVERNATORE DELLA CITTA’ E PREFETTO DELL’ERARIO

V. VESPIGNANI ARCHITETTO

Va sottolineato che l’espressione latina “sospitatrici suae” (sua salvatrice) riferita a s. Agnese sta a significare proprio che Pio IX ritenne di essere scampato dal pericolo occorsogli il 12 aprile 1855 grazie all’intervento di s. Agnese: ebbene tale riferimento non compare solo nell’iscrizione posta su Porta Pia ma anche a quella analoga che si trova al fondo della chiesa dedicata alla santa sita in via Nomentana.


Foto 23 - Statua di s. Agnese sul lato esterno di Porta Pia

Foto 24 - Statua di s. Alessandro sul lato esterno di Porta Pia

In sintesi, per l’importanza religiosa dei luoghi siti su via Nomentana, la porta - che da secoli si chiamava Pia perché fatta realizzare da papa Pio IV - fu dedicata ai santi Alessandro e Agnese a partire dal 1869 (foto 25).

Foto 25 - Veduta di Porta Pia dal lato esterno

Il simbolo di Monte Sacro come luogo di libertà nei secoli successivi. Simon Bolivar.

Nonostante molti storici abbiano messo in discussione che la secessione del 494 a.C. fosse realmente avvenuta e malgrado altri abbiano sostenuto che essa avrebbe avuto luogo sull’Aventino, Monte Sacro quale luogo e simbolo della lotta per le libertà fondamentali rimase nell’immaginario collettivo tanto che all’inizio del XIX° secolo fu teatro di un avvenimento di straordinaria importanza storica per le popolazioni dell’America latina.

Simon Bolivar, nato a Caracas il 24 luglio 1783 e fervente sostenitore dell’indipendenza dei popoli dell’America del sud dal giogo spagnolo, si recò in Italia e si fermò a Roma.

Il giorno di Ferragosto del 1805 in compagnia del suo precettore e maestro Simon Rodriguez decise di fare un giro per la campagna romana.

Memore di quanto aveva appreso dal Rodriguez in ordine alla famosa orazione pronunciata da Menenio Agrippa 2.300 anni prima, salì sulla collinetta che si trova all’uscita del antico ponte nomentano; affascinato dal luogo in cui erano stati affermati i principi fondamentali di libertà contro i soprusi della classe dominante, pronunciò il seguente giuramento di liberare il Sud America dalla dominazione spagnola:

Juro delante de usted, juro por el Dios de nos padres, juro por ellos, juro por mi honor y juro por mi Patria, que no darè descanso a mi brazo ni reposo a mi alma hasta que haye roto la cadenas que nos oprimen por voluntad del poder Espanol

ossia: “Giuro davanti a Voi, giuro sul Dio dei nostri padri, giuro su loro, giuro sul mio onore e giuro sulla mia Patria che non darò riposo al mio braccio né riposo alla mia anima fino a che non avrò spezzato le catene che ci opprimono per volontà del potere spagnolo”.

Bolivar riuscirà dopo vent’anni di battaglie ad avere la meglio sugli eserciti spagnoli liberando Il Venezuela, la Colombia e altri territori dell’America latina acquisendo il titolo di Libertador.

In suo onore sulla collinetta denominata oggi parco Bolivar sono stati eretti un busto e un obelisco vicino ai quali compare, impressa su vetrofanie, la formula del giuramento scritta in spagnolo e in italiano (foto 26, 27, 28).

Quasi a sancire la stretta unione tra l’apologo di Menenio Agrippa e il giuramento di Simon Bolivar va detto che dal 1922 al 1951 l’odierna piazza Menenio Agrippa si chiamava piazza Bolivar, nome poi trasferito al piazzale di valle Giulia dove oggi si trova la statua equestre del condottiero realizzata da Pietro Canonica, statua che era stata inizialmente eretta nei giardini esistenti tra via Flaminia e viale Tiziano, a poca distanza dallo stadio Flaminio.

Nel 1930, nel centenario della morte del Libertador, si svolse una pubblica manifestazione sulla piazza Bolivar per la posa di una lapide commemorativa del Libertador: come può evincersi dalla foto dell’Istituto Luce la lapide fu collocata sull’alto muro che si trova all’inizio dell’odierna via Cimone (foto 29, 30, 31)

Successivamente fu trasferita sulla parete sinistra della facciata della scuola don Bosco a piazza Monte Baldo 8 (foto 32).


Foto 26 - Busto di Simon Bolivar eretto nell’omonimo parco di via Monte Serrone

Foto 27 - Al centro svetta la stele eretta in onore di Simon Bolivar posta di fronte al busto del Libertador . A destra si scorgono le vetrofanie. Purtroppo, come si vede, la zona è stata oggetto di vandalismi.

Foto 28 - Altra veduta dell’obelisco in onore di Simon Bolivar

Foto 29 - FOTO ATTUALITÀ / COMMEMORAZIONE DEL CENTENARIO DELLA MORTE DI BOLIVAR - POSA PRIMA PIETRA DEL MONUMENTO IN SUA MEMORIA E INAUGURAZIONE LAPIDE A MONTE SACRO


Il vicegovernatore di Roma Paolo D'Ancora pronuncia un discorso durante l'inaugurazione della lapide commemorativa dedicata a Simon Bolivar

data: 17.12.1930

luogo della ripresa: Roma

DESCRIZIONE

Accanto a D'Ancora si vedono dei carabinieri e un metropolitano; sulla lapide commemorativa si legge: "XVII dicembre MCMXXX - A Simone Bolivar, che sul sacro suolo dell'Urbe, giurò di restituire a libertà i suoi generosi fratelli d'America Roma madre delle genti, nel primo centenario della sua morte, dedica questo ricordo e latinamente saluta i popoli redenti dal Liberatore".

Foto 30 - FOTO ATTUALITÀ / COMMEMORAZIONE DEL CENTENARIO DELLA MORTE DI BOLIVAR - POSA PRIMA PIETRA DEL MONUMENTO IN SUA MEMORIA E INAUGURAZIONE LAPIDE A MONTE SACRO


Una personalità mentre fa un discorso durante l'inaugurazione della lapide commemorativa dedicata a Simon Bolivar

data: 17.12.1930

luogo della ripresa: Roma

DESCRIZIONE

Accanto alla personalità si vedono dei carabinieri e un metropolitano; sulla lapide commemorativa si legge: "XVII dicembre MCMXXX - A Simone Bolivar, che sul sacro suolo dell'Urbe, giurò di restituire a libertà i suoi generosi fratelli d'America Roma madre delle genti, nel primo centenario della sua morte, dedica questo ricordo e latinamente saluta i popoli redenti dal Liberatore".


Foto 31 - FOTO ATTUALITÀ / COMMEMORAZIONE DEL CENTENARIO DELLA MORTE DI BOLIVAR - POSA PRIMA PIETRA DEL MONUMENTO IN SUA MEMORIA E INAUGURAZIONE LAPIDE A MONTE SACRO


Fani e autorità in occasione dell'inaugurazione della lapide commemorativa dedicata a Simon Bolivar

data: 17.12.1930

luogo della ripresa: Roma

Foto 32 - La lapide in onore di Simon Bolivar a piazza Monte Baldo 8


La secessione del 1924

Nel 1924 la protesta contro il governo presieduto da Mussolini prese il nome di secessione dell’Aventino dal colle che - come si è visto sopra - aveva storicamente condiviso con il Monte Sacro la secessione popolare e aventiniani vennero chiamati quei parlamentari dell’opposizione che si erano riuniti nella sala della Lupa di Montecitorio - oggi nota anche come sala dell’Aventino - decidendo di abbandonare i lavori parlamentari fino a quando il governo fascista non avesse chiarito la propria posizione in ordine alla scomparsa dell’on. Matteotti.

Foto 33 - Alcuni parlamentari dell’opposizione discutono sulla proposta di secessione detta Aventino


Come si vede i tempi cambiano, le situazioni politiche si susseguono, si ribaltano e mutano, ma i luoghi simbolo degli eventi più rappresentativi restano e la storia torna a ripetersi.